Gianmarco
Ha il camice bianco, 26 anni e l’energia di chi vuole cambiare le cose. Proprio quell’energia di cui ha bisogno chi è affetto da una malattia mitocondriale. Ha molta voglia di approdare a nuove conoscenze scientifiche e la consapevolezza che l’aspetto umano nel suo nuovo mestiere abbia un ruolo fondamentale: il medico non cura solo la malattia ma si prende cura anche della persona.
Gianmarco Severa è di Fiuggi e si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma. Tesi sperimentale dal titolo: Limb-Girdle Muscular Dystrophy: fenotipizzazione di pazienti adulti nell’era della Next Generation Sequencing, relatore: Prof.ssa Serenella Servidei.
Vincitore del bando indetto da Mitocon Onlus per l’assegnazione di una borsa di studio intitolata ad Elisabetta Canitano, una giovane ricercatrice che purtroppo è stata colpita da una grave forma di malattia mitocondriale, Gianmarco sta seguendo come medico frequentatore un progetto di ricerca dal titolo Riabilitazione neuro-motoria in pazienti con miopatia mitocondriale: studio pilota.
Da piccolo sognavi di fare il medico?
In realtà volevo fare il biologo marino, ma crescendo, negli anni di liceo, ho scelto la via di medicina.
Il tuo lavoro è una missione?
La missione mi fa pensare a un obiettivo auto imposto o imposto dall’esterno. Faccio un lavoro che mi piace e per questo parlerei più di passione, che, nascendo spontanea, può diventare uno strumento decisivo per raggiungere determinati obiettivi.
Il primo giorno di borsa di studio
È stato emozionante perché ho sentito la responsabilità del progetto e anche dell’approccio con il paziente. Fortunatamente, grazie alla mia età, mi è stato richiesto un contatto informale dandomi del “tu”. Questo mi ha messo a mio agio e si è allentata la tensione iniziale.
Cosa prevede la borsa di studio?
Il progetto di ricerca si occupa della riabilitazione neuro-motoria di pazienti con una specifica tipologia di malattia mitocondriale, la “miopatia primariamente mitocondriale”, che coinvolge il muscolo e per la quale in letteratura si è verificato il miglioramento in quei pazienti che seguivano un protocollo riabilitativo specifico.
Quello che facciamo è praticare un protocollo di riabilitazione neuro-motoria sia con esercizi di tipo endurance, quindi esercizi aerobici come il tapis roulant, sia esercizi contro resistenza ovvero con piccoli carichi. Tutto dura sei mesi con due sedute settimanali, nelle quali viene monitorata la frequenza cardiaca, spia dell’eventuale incremento di acido lattico nel sangue, caratteristica tipica del paziente mitocondriale.
Non trattandosi di una terapia farmacologica, gli eventuali miglioramenti vanno valutati al termine dei sei mesi confrontandoli con gli stessi parametri, compreso il test cardiopolmonare, già valutati all’inizio del protocollo di riabilitazione.
Ti fai carico della speranza dei pazienti?
La ricerca in atto offre prospettive di speranza e, nonostante i pazienti che arrivano in ambulatorio non ricevano nell’immediato un farmaco che possa curare la patologia, ho notato come spesso la sola visita clinica eseguita da un’equipe attenta alla malattia, ma anche all’esigenza della persona, rende i malati più sollevati.
Inventa un mondo per i pazienti mitocondriali
Da piccolo spesso giocavo con modellini di animali della savana o del mare, e mi divertivo a ricreare ambienti naturali. Se dovessi riportare quell’esperienza a questa situazione, immaginerei un posto in cui il paziente non si sente solo, un posto dove più personaggi condividono lo stesso problema e conoscono le difficoltà l’uno dell’altro. Una sorta di branco, di gruppo, di cui fa parte anche il medico. Una comunità in cui ognuno si prende cura dell’altro.
Tre parole per definire la tua esperienza
Stimolante, arricchente e impegnativa, sia lavorativamente che emotivamente.
Una cosa che vorresti dire
Mi sono approcciato alla neurologia con grande interesse, da studente. Quindi ho fatto tutte le procedure, l’internato, ho chiesto la tesi in neurologia. Poi ho seguito l’ambito neuromuscolare metabolico con la professoressa Servidei e la sua equipe, col dottor Guido Primiano e la dottoressa Cristina Sancricca, ed è stato per me motivo di grande stimolo vedere l’impegno, la preparazione, l’interesse nel campo. Si è sempre creato un clima in cui mi sono sentito libero di chiedere, di interessarmi, di frequentare l’ambulatorio. Se tu ti approcci in un ambiente in cui i professionisti sono orientati solo sul loro dovere e meno volti a coinvolgerti, puoi perdere un po’ di interesse. Invece mi sono trovato in un ambiente stimolante che mi ha spinto ad appassionarmi. Libero di fare anche domande sciocche.
Se la vita ospedaliera fosse un film?
Vorrei che fosse un film di Fellini. Quei tipi di film che sono già una cura. Un posto in cui la realtà incontra la fantasia. Delle volte anche le cose brutte possono essere rivisitate in una maniera più fantastica che le renda meno brutte. L’ospedale stesso che viene visto come un posto dove si va solo quando si sta male, dovrebbe essere vissuto invece come un posto dove si cerca di far stare bene.
E se trovi la cura?
Per prima cosa controllo di aver fatto bene le cose e poi vorrei rivedere faccia a faccia tutti i pazienti conosciuti per seguire la loro terapia. Ma per ora è un bel sogno.