Il caso Paula Morandi – Luci e ombre sulla patologia di Leber
“La sentenza che ha colpito la Signora Paula Morandi, moglie dell’Ammiraglio Paolo Treu, accusata dall’INPS di falsa cecità, riapre la questione delle malattie rare e invisibili. Malattie gravi, invalidanti, non conosciute e quindi non riconosciute nella loro serietà, tanto da rendere ancora più doloroso per i pazienti il difficile percorso con la malattia”, afferma Piero Santantonio, presidente di Mitocon, l’associazione che da oltre dieci anni è il riferimento per i pazienti e le famiglie affette da malattie mitocondriali. “Per questo esprimiamo tutta la nostra vicinanza a Paula, indubbiamente affetta della neuropatia ottica ereditaria di Leber, e cerchiamo di fare luce sui risvolti concreti e reali di questa malattia”.
La neuropatia ottica ereditaria di Leber, meglio conosciuta come LHON, da cui è affetta la signora Paula Morandi, è una malattia ereditaria il cui difetto genetico è stato identificato per la prima volta solo nel 1988, che causa la perdita improvvisa e bilaterale della vista. La causa è una mutazione che colpisce il DNA contenuto nei mitocondri, le centrali energetiche della cellula, e provoca la degenerazione del nervo ottico. Con il manifestarsi della malattia, compare uno ‘scotoma centrale’, una macchia lattescente centrale e rimane solo una cornice periferica della visione.
“Per rendere l’idea, lo scotoma centrale può essere paragonato a un faro puntato negli occhi, un’immagine fissa e abbagliante. Intorno, restano tanti puntini luminosi in continuo movimento, come quelli che si vedono sullo schermo del televisore quando si stacca l’antenna”, racconta Giovanni Ansaldi, un paziente Leber che ha perso improvvisamente la vista a 16 anni. Sono effetti generati dalla degenerazione delle fibre dal nervo ottico. “Il nervo ottico è assimilabile ad un cavo che trasmette al cervello lo stimolo che la retina ha trasformato da luminoso in elettrico, perché venga trasferito al cervello che poi elabora l’immagine finale. Nei pazienti Leber, la cellula neuronale che genera gli assoni, cioè le fibre che compongono il cavo elettrico, si ammala e parte di queste fibre degenerano e vanno irreversibilmente perse”, spiega il Prof. Valerio Carelli, responsabile del laboratorio di neurogenetica dell’istituto di scienze neurologiche IRCCS dell’Azienda USL di Bologna e professore associato di neurologia all’Università.
Con una tomografia a coerenza ottica, uno strumento noto come OCT (Optical Coherence Tomography), oggi si può misurare il grado di compromissione del nervo ottico. Eppure, nonostante la diagnosi, per molti pazienti che vivono con la Leber e con le altre malattie mitocondriali che hanno come conseguenza la neuropatia, è evidente la difficoltà di far riconoscere la propria invalidità.
Complice è l’aspetto, all’apparenza normale nello sguardo e nei movimenti, che non tradiscono la cecità di chi ne è affetto. Complici sono anche la tecnologia, che fornisce sempre di più strumenti di supporto per migliorare la qualità della vita, e i programmi di riabilitazione, come quelli forniti dall’Istituto Cavazza di Bologna o dal Centro Regionale Sant’Alessio Margherita di Savoia, nel Lazio, che mirano ad educare le persone cieche assolute, parziali ed ipovedenti al raggiungimento del più alto livello di autonomia in tutti gli ambiti della quotidianità, dal fare la spesa all’affrontare le difficoltà che si incontrano nella socializzazione.
“Adesso che vivo la stessa condizione di mio figlio, mi rendo conto di quanto io stessa non mi rendessi conto” racconta Gabriella, colpita dalla malattia a 59 anni. ”Sapevo che non ci vedeva, ma lo realizzavo solo quando faceva cose che erano evidenti. Il suo sguardo, i suoi movimenti non erano cambiati, cercava di essere quello di prima. Non capivo quanta vergogna avesse dentro a mostrarsi così con gli amici, quanta rabbia, quanta tristezza. Lo rimproveravo, se gli chiedevo di aiutarmi a pulire il giardino e trovavo ancora le cartacce per terra. Una volta, dopo la maturità gli avevo dato un libro per scegliere la facoltà e vedevo che lo sfogliava distrattamente, come se non lo stesse guardando, e infatti non poteva”.
“Da più di dieci anni, l’impegno concreto di Mitocon e di fare rete tra i pazienti, le famiglie, la comunità medico scientifica per favorire lo scambio di conoscenze, indispensabile per promuovere lo studio delle malattie mitocondriali, gravi e difficili da studiare, e favorire una migliore qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari”, conclude Piero Santantonio. “Il nostro scopo non è solo quello di arrivare presto alla scoperta di una cura, ma anche di abbattere quel muro di invisibilità provocato dall’ignoranza intorno a queste malattie – seppure reali e, quando possibile, certificate, come nel caso della Leber – che rende gravemente insormontabili le difficoltà quotidiane legate alla malattia”.