L’editing genetico può “correggere” i mitocondri difettosi. A dimostrarlo uno studio dell’Università di Cambridge condotto sui topi.
In questa news riportiamo gli esiti dello studio di editing genetico “In vivo mitochondrial base editing via adeno-associated viral delivery to mouse post-mitotic tissue”, condotto da un team di ricercatori dell’Università di Cambridge e pubblicato sulla rivista Nature Communications
Per la prima volta in letteratura, questo recente studio dimostra che è possibile entrare e ‘correggere’ gli errori del DNA mitocondriale difettoso (mtDNA), producendo mitocondri sani che consentono alle cellule di funzionare correttamente. Lo studio, condotto su topi sani adulti e neonati, fornisce informazioni cruciali sulla potenziale traduzione in terapia genica nell’uomo, aprendo così la strada a nuovi trattamenti per i disturbi mitocondriali incurabili.
L’enzima DddA-derived cytosine base editor
L’enzima taglia-e-cuci in questione è il DddA-derived cytosine base editor (DdCBE) un enzima batterico che può entrare nei mitocondri (gli organelli cellulari che forniscono energia alle nostre cellule) e da solo modificare il mtDNA a doppio filamento convertendo la base azotata citosina (C) in uracile (U).
A differenza del più noto sistema di editing genetico CRISPR, che può essere applicato al DNA nucleare ma non al DNA mitocondriale, DddA può agire direttamente sul DNA mitocondriale, caratteristica che gli permette di raggiungere l’interno del mitocondrio senza la necessità di ulteriori “pezzi” per funzionare. Inoltre, agisce sul DNA a doppio filamento (cioè sulla doppia elica) e non solo sul singolo filamento (RNA o altri derivati).
In questo studio i ricercatori hanno testato questo strumento di editing genetico per l’uso in vivo, fornendo DdCBE nel cuore del topo e mostrando che può installare le modifiche desiderate del mtDNA in topi adulti e neonatali.
Precedenti studi di editing genetico per ‘correggere’ il DNA mitocondriale nei topi
Il team dell’unità di biologia mitocondriale dell’Università di Cambridge già nel 2018 aveva applicato un trattamento sperimentale di terapia genica nei topi ed era stato in grado di indirizzare ed eliminare con successo il DNA mitocondriale danneggiato nelle cellule eteroplasmatiche, consentendo ai mitocondri con DNA sano di prendere il loro posto. Questa tecnica poteva funzionare solo nelle cellule con abbastanza DNA mitocondriale sano per copiarsi e sostituire quelle difettose che erano state rimosse, non avrebbe funzionato nelle cellule i cui interi mitocondri avevano DNA difettoso.
In quest’ultimo studio, la tecnologia DdCBE fornisce il potenziale per decodificare il genoma mitocondriale nelle cellule animali e infine correggere le mutazioni puntiformi patogene omo ed eteroplasmatiche nel mtDNA.
Come dichiarato dagli stessi studiosi c’è ancora molta strada da percorrere prima che i risultati di questi studi possano portare ad una cura per le malattie mitocondriali ma esiste il potenziale per un trattamento futuro che consentirebbe di riparare i mitocondri difettosi nei bambini e negli adulti.
Le malattie mitocondriali
Ricordiamo che le malattie mitocondriali sono malattie genetiche, causate da mutazioni, sia nel DNA nucleare che nel DNA mitocondriale, che portano a compromissione della produzione di energia mitocondriale. I disturbi mitocondriali sono tra le malattie ereditarie più comuni e sono spesso associati a disabilità grave e durata della vita ridotta. Attualmente non ci sono trattamenti efficaci per questi disturbi e la gestione clinica si concentra sul trattamento delle complicanze.
Per le persone e le famiglie colpite da malattie mitocondriali, da quindici anni in Italia è attiva Mitocon, l’associazione di pazienti di riferimento, che opera per una migliore qualità di vita e per avanzare nello studio e nella cura di queste patologie (www.mitocon.it).
Riferimenti Bibliografici
Silva-Pinheiro, P., Nash, P.A., Van Haute, L. et al. In vivo mitochondrial base editing via adeno-associated viral delivery to mouse post-mitotic tissue. Nat Commun 13, 750 (2022). https://doi.org/10.1038/s41467-022-28358-w