Lucia
Una malattia esplosa all’improvviso
Sono un medico reumatologo di 49 anni, mi chiamo Lucia e ho tre figli adolescenti.
Sono sempre stata una persona molto attiva, amo lo sport, il movimento all’aria aperta e, sin da piccola, ho sperimentato di tutto, dal canottaggio, al tennis, alla corsa, alla ginnastica artistica, alla kickboxing, senza abbandonare mai il nuoto.
Il giorno in cui ho avuto la grande crisi acuta, quella che ha cambiato per sempre la mia vita, ero una mamma felice, appena rientrata dalle ferie. Mi era nato da poco il secondo figlio e sicuramente in vacanza avevo fatto il mio bel carico di spesa energetica, con due bambini piccoli. Ma mi sentivo rilassata.
Quel giorno ero rientrata al lavoro ed ero stata ore e ore in giro con il vespone sotto il sole cocente, senza quasi mai bere. Era l’estate del 2002, una delle più calde di sempre, e il termometro a Catania segnava 45° netti (non percepiti!). Quando sono tornata a casa ho avuto una vertigine talmente forte che sono caduta violentemente a terra. Dicevo “sono solo disidratata, non mi portate in ospedale”, ma hanno insistito perché avevo un mal di testa fortissimo e parlavo con difficoltà e tutto faceva pensare a un ictus emorragico.
La mia malattia è esplosa in quel momento e da lì è cambiato tutto, giorno dopo giorno: la mia capacità motoria, la mia resistenza fisica. Dopo questa crisi acuta i sintomi neurologici si sono manifestati uno dietro l’altro: una paresi sinistra, problemi nell’equilibrio, atassia cerebellare, poi tetra paresi spastica. È stata una continua evoluzione, ma nessuno riusciva a capire cosa mi stesse succedendo.
L’odissea prima di arrivare alla diagnosi
All’inizio avevano prospettato l`insorgenza iperacuta di sclerosi multipla. Quando la diagnosi è stata smentita, da lì sono iniziate le mie peripezie, ho cominciato a essere presa per matta.
Non si trovava una causa clinica a questo mio male, per cui si è pensato che fosse dovuto a squilibri emotivi, se non addirittura psichiatrici. Tanto sono stata presa per matta che io stessa avevo rinunciato a fare qualunque percorso di tipo diagnostico. Pur essendo medico, o forse proprio per quello, avevo cominciato a dubitare anch’io. Solo l’elettromiografia faceva intendere una problematica legata a una neuropatia, ma il risultato non concordava con tutto il resto.
Ero sempre stanca, non ce la facevo neanche a parlare. Sono stata sempre una sportiva, ero attiva, ero felice, avevo una famiglia giovane, tutti gli interessi avevo tranne che essere costretta a letto per la profonda astenia, eppure non ce la facevo. Avevo ripreso a lavorare, ma al lavoro non andava bene, stavo sempre male.
Mio marito ha cercato di aiutarmi, ma lui stesso non sapeva cosa fare. Mi capiva e non mi capiva, aveva paura di questa condizione. Mia madre mi vedeva strana, cambiata, ma neanche lei pensava che fosse necessario fare degli accertamenti, probabilmente anche lei ne aveva paura. Non riuscivo nemmeno a far capire ai miei amici colleghi quanto la mia stanchezza fosse anomala, francamente patologica. Mi si diceva che tutto era dovuto alle “trecento cose” di cui mi occupavo da sempre… Tutto taceva intorno a me, mi trovavo da sola con una sensazione da affrontare che sinceramente neanch’io come medico riuscivo a capire.
Poi una sera sono andata al supermercato con mio marito e facevo una fatica terribile, come sempre, e lì ho incontrato un collega con cui avevo fatto la specializzazione. Mi ha visto cambiata, pallida, dimagrita, mi ha chiesto cosa avessi e mi ha consigliato di rivolgermi all’Oasi di Troina, un IRCCS che si occupa di malattie neuromuscolari su base genetica dell’età evolutiva.
Ho fatto una serie di test genetici, ma non veniva fuori nulla. L’ipotesi di un problema di natura psichiatrica diventava sempre più realistica, anche agli occhi di questi medici che rappresentavano l’ultima mia speranza.
Poi (due anni dopo l’insorgenza della malattia) sono arrivati i risultati della biopsia muscolare: miopatia necrotizzante con accumulo di lipidi, quindi una miopatia metabolica. L’elettromiografia confermava che avessi una neuropatia assonale, concomitava un interessamento del sistema nervoso centrale e alcune problematiche viscerali.
La mia sfida contro la malattia
La mia è una malattia mitocondriale, non ci sono cure.
Grazie alla diagnosi, però, mi hanno prescritto degli integratori. Dapprima mi è stata data la carnitina, che mi ha fatto cominciare a stare un pochino meglio, poi anche il coenzima Q. Il coenzima Q è stato per me il punto di svolta, il giro di boa, perché ho avuto subito beneficio.
La cosa pazzesca di questa sindrome è che non sto mai allo stesso modo, ogni volta ho un sintomo diverso.
Sono diventata un giocoliere, per cercare un equilibrio nel mio squilibrio. Ho imparato a giocare con la mia malattia per cercare di catturare tutti gli aspetti positivi della vita.
Nella gravità della mia malattia, ho imparato a pensare che la patologia è una condizione di vita diversa. In una condizione di risorse scarse, ho scelto di imparare a utilizzarle al meglio, senza sprecare energie per fossilizzarmi nei mali che mi affliggono.
Un gioco di equilibri per risparmiare le energie
Cosa mi aspetto dalla vita, dove voglio arrivare? Non è semplice. Voglio semplicemente vivere la mia vita come amo viverla in tutti gli aspetti della mia quotidianità. Il contatto con la mia famiglia, gli amici, il lavoro, il contatto con la natura. Ma la mia malattia mi priva dell’energia necessaria, per questo faccio di tutto per dosare e calibrare al meglio la mia energie, il tutto alimentato da un moto dell’anima, che costituisce la mia risorsa principale.
Le mie giornate non sono tutte uguali. Ci sono giorni in cui posso arrivare in cima a una vetta, altri in cui non riesco neanche ad alzarmi dal letto.
Trovare un equilibrio tra questi due opposti non è facile, perché purtroppo non dipende dalla mia volontà.
Per sopravvivere a questa situazione ho deciso di ottimizzare alcune cose di me stessa.
Passare da una condizione in cui si fa tantissima attività sportiva a una che non ti fa muovere dal letto è devastante. Non appena la terapia del coenzima Q10 mi ha fatto sentire meglio ho deciso di ricominciare a fare qualcosa. Ad esempio, ho ripreso l’allenamento in piscina, un passo per volta, con pazienza e rispetto di me stessa.
Il movimento incrementa la fosforilazione ossidativa cellulare e apre un circuito virtuoso.
Per migliorare il mio supporto energetico ho capito che dovevo aiutarmi con l’alimentazione.
La prima forma di energia ti viene con gli alimenti, nel bene e nel male. Infatti con gli alimenti si possono assumere anche tanti veleni che derivano dall’ambiente. Il paziente mitocondriale ha difficoltà a eliminare radicali liberi, ha una ridotta capacità della respirazione cellulare. Accumulare sostanze tossiche e radicali liberi può essere estremamente nocivo. Con l’aiuto della Dott.ssa Marzia Camera, biologa nutrizionista con esperienza nelle malattie mitocondriali, essendo lei stessa una paziente, ho studiato una strategia nutraceutica per il mio organismo che punta alla vera nutrizione cellulare ottimizzando il funzionamento delle cellule ed evitando il superlavoro necessario allo smaltimento di quanto risulta nocivo. Sebbene non sia facile, sebbene non ci siano cure definitive, si può provare ad arrivare in qualche modo e cercare di migliorare un po’ nel quotidiano la propria qualità della vita.
La mia nuova sfida: la traversata dello Stretto di Messina *
* Ad agosto 2019, a pochi giorni dalla Settimana Mondiale di Sensibilizzazione sulle Malattie Mitocondriali (15-21 settembre), Lucia ha attraversato a nuoto lo Stretto di Messina per promuovere la conoscenza delle malattie mitocondriali.
Nell’ultimo periodo ho fatto cose molto astruse, ponendomi dei limiti molto sfidanti.
Ad esempio, ho fatto il Master di Medicina di Montagna e sono salita sul Monte Rosa. Sono arrivata a quasi 5.000 m, fino a Capanna Margherita. Ho potuto farlo solo ascoltando attentamente il mio corpo, andando alla velocità che mi consentiva, stando attenta a non disidratarmi, a ricaricarmi con il mio fabbisogno energetico e a fermarmi ogni volta ne avessi bisogno, per riposarmi e recuperare. I compagni di cordata, seppure medici, non mi hanno voluto accompagnare, ma alla fine ho trovato una persona disponibile e (miracolosamente?) sono arrivata alla meta solo mezz’ora dopo di loro.
Perché voglio fare adesso la traversata dello Stretto? Per andare avanti e non farmi travolgere dalla mia malattia. Infatti ho bisogno di fissarmi sempre un obiettivo e di puntare a quello.
Avere un obiettivo mi dà la forza di continuare, ma anche la capacità di dosare e accumulare risorse. Inoltre, mi fa adottare strategie diverse e mi fa fare quelle esperienze diverse che costituiscono il bagaglio necessario per andare avanti.
Ovviamente, quando si ha una malattia grave, come una mitocondriale nel mio caso, purtroppo la forza di volontà non basta per liberarsene e non è sufficiente alimentarsi bene, fare attività fisica ecc., anche se tutto ciò è di fondamentale importanza.
Il messaggio che voglio dare è che nel rispetto dei propri limiti e delle proprie capacità ci si può spingere un pochino per volta in avanti, fissando anche obiettivi complicati, senza paura delle sconfitte che possono comunque arrivare, riprovandoci sempre, magari ricalibrando tutto.
Se non mi ponessi sempre un obiettivo diverso, diventerei preda dei miei disturbi, della mia stanchezza, delle mie giornate no.
Finché’ la malattia te lo consente, bisogna trovare delle strategie, anche non estreme come le mie, per cercare di migliorare la propria qualità della vita.