Pina
Sto pensando che sta arrivando la festa della mamma. E mille pensieri mi passano per la mente… quando penso troppo, mi viene da scrivere. Eccovi il risultato. Lo so, un po’ in anticipo, ma quando si è madri, si è madri sempre. Dedicato alle madri “rare”. Per le altre… ce n’è a breve. Tanto c’è tempo fino a domenica 12…
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No, non ho dormito stanotte. Sono rimasta sveglia tutto il tempo perché lui respirava stranamente, aveva l’affanno e, nonostante fuori facesse caldo, lui era freddissimo e ho dovuto coprirlo con coperte pesanti. Poi ha iniziato a sudare, ma non aveva febbre. Il saturimetro a intermittenza suonava e i valori erano un’altalena incessante che i numeri colorati del display disturbavano i miei occhi oltre che il mio cuore. Sono rimasta lì tutto il tempo perché temevo per il peggio. Si è calmato all’alba e io però dovevo iniziare la mia giornata e occuparmi dell’altra che doveva andare a scuola.
Non sono più andata dal parrucchiere. Avevo proprio bisogno di una sforbiciata, ma lui ha iniziato a vomitare senza una ragione. Improvvisamente è diventato cianotico. L’ho dovuto sollevare con tutta la mia forza e sbattere forte contro di me, scuotergli le spalle e, come per miracolo, ha ripreso colore. Ho fatto una fatica bestia per cambiarlo di sana pianta. Non riuscivo a sollevarlo dal letto e la mia schiena sembrava dovesse cedere da un momento all’altro. Poi ho pensato di far prima tagliandogli la canottiera per riuscire a sfilargliela, non riuscivo a fargli sollevare le braccia per quanto erano irrigidite. L’ho lavato mentre era sdraiato. Poi l’ho spostato su un altro letto per il tempo che gli ho cambiato le lenzuola e poi l’ho rimesso sul suo. Gli ho anche spalmato della crema emolliente sulle gambe e sui piedi. Glieli vedo già morti, cadaverici, insensibili. Ma, infondo, ho avuto la sensazione che quel massaggio lo abbia gradito. Poi finalmente si è rilassato, ma io ero sfinita e ho rinunciato alla parrucchiera. Non importa, ci andrò un altro giorno.
Non sono più andata al cinema. No. Si era otturato il sondino e non riuscivo a somministrargli l’alimentazione delle 19:00. Ho usato la coca-cola per decongestionarlo ma non ha funzionato. Allora gli ho sfilato il sondino e ho tentato di mettergliene uno pulito, ma questa volta non ce l’ho fatta. Si era troppo irrigidito e non riuscivo a beccare la bocca dello stomaco. Reagiva in modo strano e ho capito che gli stavo facendo male, allora ho chiamato l’aiuto di un’infermiera. Nel frattempo, però, il film era iniziato e al cinema non ci sono più andata. Mi rifarò quando lo trasmetteranno in televisione.
C’era la mostra in città? C’era il concerto? Che peccato essermeli persi! Ci sarei venuta volentieri, vabbè sarà per un’altra volta.
Non vado al parco solitamente. Faccio fatica a portarlo giù dalle scale e poi non riesce più a stare seduto in carrozzina. Certo, un po’ d’aria aperta gli farebbe bene e anche solo sentire le voci di altri bambini, forse, lo aiuterebbe a sentirsi ancora parte di questo mondo, ma ho paura che si becchi qualche infezione. Sai, per lui è facile perché è tanto vulnerabile, ma potrebbe essere anche letale. Accendo la televisione e gli faccio ascoltare Geo&Geo, nei loro servizi spesso ti fanno sentire il cinguettio degli uccelli, il fruscio delle foglie al vento e il rumore del mare. E a lui piacevano tanto. Chissà che li senta attraverso il monitor.
Non sono andata in vacanza. Ero reduce da una sua lunga degenza ospedaliera. Non volevo stancarmi oltre e non volevo mettere a dura prova il suo corpo già tanto debilitato.
È venuta a trovarmi un’amica oggi. Mi ha fatto piacere parlare con qualcuno. Ogni tanto ci vuole. Fra un po’ litigo con la mia stessa voce a furia di parlare da sola. Lo ammetto, sono un po’ stanca e stressata, ma non lo dico forte, altrimenti poi mi costringono ad andare dallo psicologo e poi mi ritrovo io a consolare le sue lacrime che scendono mentre ascolta i miei racconti.
La bombola dell’ossigeno era esaurita e questa volta me ne sono accora proprio in extremis. Meno male che il presidio era ancora aperto e mi ha portato il cambio in tempo per evitare che avesse crisi.
Oggi ha continuato con le sue crisi epilettiche incessantemente. I farmaci non stanno funzionando. Non so se riportarlo in ospedale o aspettare che passi. Vorrei calmarlo, vorrei evitargli quella pena, ma non riesco, non so cosa fare, non ci sono soluzioni. Piango disperata ma non voglio che mi veda o mi senta, ammesso che mi veda e che mi senta.
L’altra figlia oggi è venuta ad abbracciarmi di sua spontanea volontà. Senza dirmi nulla, mi ha guardata negli occhi ed è rimasta immobile a osservarmi. Non mi riconosce più, lo so. Devo essermi trasformata tanto sia fisicamente che psicologicamente. Mi sente lontana. E ha ragione. Non ho tempo per lei. Ho l’impressione che possa cavarsela da sola, anche se non è così. Ma proprio non me ne resta tempo per lei. Un giorno, spero, capirà. Un giorno, spero, le spiegherò tutto e cercherò di recuperare il tempo che, mio malgrado, le ho negato.
Ma il tempo andato, non ce lo restituisce nessuno.
C’è un silenzio assordante in casa. Sono tutti fuori. Io sono sola con lui. Ha lo sguardo fisso sul soffitto. Non so se sperare che stia pensando o che sia già in un territorio scevro da sensibilità. Deve essere dura quella vita. Fermo, lì immobile, in solitudine, senza poter parlare, poter “essere”. Piango, in silenzio, ovviamente. E metto su una canzone dei Tiro Mancino che piaceva tanto a entrambi. E mi illudo di fargli piacere, di fargli sentire la mia vicinanza, di trasmettergli la sensazione che non è solo, che io sono con lui e non lo lascerò mai.
Chi sono? Una caregiver. La caregiver di un bimbo raro. Di un bimbo con malattia rara. Ma ancor prima, sono una mamma. Sì, puoi dirlo: una mamma “rara”. Sai, si può essere “rari” in diversi modi. A me è toccato questo.
Dedicato a me. Dedicato a tutte le mamme rare. Ciao Francesco! Eleonora, recuperiamo gli abbracci che non ti ho dato e le carezze che non ti ho fatto?